Maurizio Mattioli (attore)
Gorga (Roma) 10.12.2023
Intervista di Gianfranco
Gramola
“Vorrei un mondo senza guerra, non vorrei
più donne accoltellate e bambini ammazzati. I bambini uccisi mi danno un senso
di angoscia, di impotenza. Il mondo, anche tecnologicamente parlando, non si è
fatto mancare nulla e vorrei che non si facesse mancare anche il buon senso e la
serenità”
Maurizio Mattioli è nato a Roma il 3 giugno
del 1950 ed è un noto attore, doppiatore, comico italiano. Sappiamo che la sua
carriera cinematografica è iniziata presto, con alcune interpretazioni minori
negli anni ’70. Spesso ha interpretato la figura del romano di periferia, un
po’ cialtrone, ma negli anni recenti ha dato vita anche a personaggi di cafone
arricchito, come nel film Un’estate ai Caraibi. Maurizio Mattioli ha recitato
a teatro, al cinema è ha interpretato Alberto Dominici nelle quattro stagione
della fiction Un ciclone in famiglia, ma è stato anche Augusto nella prima,
quinta e sesta serie de I Cesaroni. In tv, sul piccolo schermo, ha dato vita a
diverse parodie, tra le quali quella di Bill Clinton e di altri personaggi al
Bagaglino, compagnia di cui ha fatto parte per anni. E non solo. Nella sua
brillante carriera ha doppiato molti personaggi in cartoni e film di animazione
e nel 2014 ha ricevuto il riconoscimento speciale Leggio d’Oro Alberto Sordi.
Ha detto:
- Vengo dalla strada, dalle barzellette al
bar, con dieci persone come pubblico plaudente, e il solito refrain: “Tacci
tua fai ride, devi provà cor cinema!” E una, e due, e tre volte, poi ho
pensato: forse hanno ragione”
- Ricordo le prime frequentazioni con i
giocatori giallorossi. Ricordo Lionello Manfredonia, amico di mio fratello e suo
compagno di squadra nelle giovanili del Don Orione. Mi presentò Fulvio
Collovati, che aveva convinto a prendere casa ai Parioli.
- Edwige Fenech? Bellissima, la guardavamo
tutti ma senza darle confidenza. Non potevamo.
- Il Bagaglino mi ha formato molto,
un’esperienza straordinaria, grazie alla comicità abbiamo unito l’Italia e
l’audience straordinario, superavamo i dieci milioni di telespettatori a
puntata, dimostrava il grande interesse per le nostre trasmissioni passate alla
storia della televisione.
Intervista
Maurizio, mi racconti del tuo ultimo
spettacolo “L’ultimo sogno di Gioacchino Belli” scritto
da Gabriele Mazzucco in scena al teatro Garbatella dal 14 al 17 dicembre? E’
uno spettacolo di poesie romanesche?
Non è che noi raccontiamo le poesie del
Belli, c’è solo una citazione. E’ un sogno che il poeta romanesco
Gioacchino Belli fa interpretando se stesso nello stesso sogno, andando a
parlare con il popolo, andando a parlare con un cardinale, parlando con se
stesso facendo un po’ un analisi di quello che era la Roma di quei tempi, la
Roma pre-repubblica romana. Era il tempo del potere temporale, il potere dei
papi che era un potere temporale antecedente a quello di Pio IX. Perché noi
siamo prima di Pio IX quando
cominciava tra il popolo, che il Belli definiva “giacobini”, lo spirito di
ribellione. Se non sbaglio, erano forti contestatori del potere. Il potere
temporale di allora, i primi giacobini, i primi movimenti, i primi fermenti
popolari, le spiate, la gente che veniva uccisa, perché durante il potere
temporale i papi hanno sempre tagliato le teste, le capocce come dicevo io nella
commedia Rugantino, dove interpretavo mastro Titta, il boia “me spetta un
premio pontificio” per il mio dovere di buon cristiano, capito il paradosso,
Gianfranco? E il Belli parla anche di questo, parla di questo cardinale un po’
corrotto, un po’ sozzone che va con le prostitute, parla della Roma dove in
quel momento era tutto un fermento, sotto tutti i punti di vista.
Dopo Roma, sarai in tournée con questo
spettacolo?
Si, andremo in giro e faremo qualche zona del
centro Italia. E’ uno spettacolo che mi piace molto fare, ma quest’altro
anno vorrei fermarmi e tornare a casa.
Mi racconti com’è nata la passione per
la recitazione?
E’ nata da ragazzino, mi è sempre piaciuto
fare l’attore e quindi interpretare. Io ho cominciato facendo il comico, molto
non lo sanno caro Gianfranco, ma io ho fatto il teatro stabile di Roma, ho
lavorato con Squarzina, ho lavorato con Enrico Maria Salerno e con Calenda. Io
andavo a lavorare e cercavo di imparare dai grandi nomi del teatro con cui
recitavo, anche perché io non venivo da scuole di recitazione ma mi ero fatto
da me perché avevo questa grande passione. Avevo la passione per la
comunicazione evidentemente.
I tuoi genitori come hanno preso questa
tua scelta artistica?
Mia madre si è ammalata quando le ho detto
che non tornavo a Roma per fare una specie di esame pro forma al ministero delle
poste, dove sarei entrato sicuramente per fare il telefonista. Non tornai a casa
perché ero in tournée, la prima compagnia importante, dove presi quattro
soldi, con il teatro stabile. Non tornai, mia madre si ammalò mentre mio padre
è sempre stato distaccato in questo senso. Ma mia madre la prese male ma quando
vide che cominciavo ad ingranare e quanto ero bravo, veniva a vedermi e pian
piano cominciò ad apprezzarmi e a capire la mia scelta. Io nella vita so fare
solo l’attore, caro Gianfranco.
Un tuo ricordo di Gigi Proietti?
Ricordo con molto piacere le serate passate
con lui fino alle 3 di notte a raccontare barzellette. Con Gigi si rideva di
tutto e facevamo delle canzoni con le pernacchie. Faceva lo stornello con la
chitarra che ti accompagna, tipo para pa
ponzi ponzi po’, solo che lui lo faceva con le pernacchie (risata). Se eri
giù di morale lui ti faceva morire dal ridere, ti cambiava la giornata. Era un
grande uomo d’istinto, un uomo generoso e buono…. Un grande maestro.
Hai conosciuto anche Franco Califano.
Gianfrà, me fai piagne, però. Ti dico una
cosa, da 10 anni a questa parte me so morti tutti gli amici miei. Prima Lando
Fiorini che è stato il mio primo maestro, il primo che mi ha dato la possibilità
di salire su un palcoscenico con 110 persone davanti per sei mesi. Lui era
chiaro: “O fai ridere o ne metto un altro al posto tuo”. Mi ha spronato e mi
ha insegnato le cose fondamentali per fare questo mestiere, sui tempi comici,
sulle risate. Lui se ne è andato, non c’è più. Il secondo è stato er
califfo (Franco Califano), che ho conosciuto su un set nel 1980 e che è stato
come un fratello per me. Ho vissuto a casa sua, lasciamo stare, non voglio
andare oltre perché mi metto a piangere. Poi se ne è andato Gigi Proietti, poi
Gigi Magni, poi Carlo Vanzina e quei punti di riferimento precisi e vitali nella
mia carriera. Sapessi quanto è brutto, amico mio, guardandomi in giro a 360
gradi, a destra e a sinistra e non trovare nessuna delle persone di riferimento,
nessuno che ti fa un sorriso e sulle quali tu puoi sempre contare. Ora mi sento
solo in questo senso, però vado avanti perché ancora reggo, ancora ce la
faccio. Voglio raccontare, voglio far ridere, voglio ancora far commuovere ed
emozionare. A me non interessano i soldi perché qualche soldo l’ho fatto e
l’ho messo da parte, mi interessa recitare e trasmettere emozioni.
Tu sei romano de Roma. Come mai hai
lasciato la città eterna per andare a vivere a Gorga?
Gorga è il paese della mia
bisnonna, di mia nonna e poi di mio padre e ci venivo da bambino dai 4
anni in poi per fare le vacanze. Per anni ho fatto le feste di Natale, di
Capodanno e le vacanze estive sempre con nonna e bisnonna qui a Gorga e
qui mi sono innamorato della natura, dei cavalli, degli asini, del monte Lepini
che sono strepitosamente belli, affascinanti e questo piccolo paese di appena
settecento anime, è il contrastare
alla pesantezza della città. Poi dopo, andando avanti con gli anni mi sono
detto che la mia città non la riconosco più, questa non è la mia Roma. Io
sono romano dalla punta dei piedi fino ai capelli, ho sempre voluto bene a Roma
però questa città non mi piace e allora mi sono trasferito a Gorga, il paese
di nonna e bisnonna dove non c’ho niente intorno, soltanto natura, i miei
cavalli e i miei asinelli, la mia compagna Simonetta e mio nipote e io sono
molto felice con loro.
Quali sono le tue ambizioni?
Non sono mai stato ambizioso, ho sempre e
solo desiderato fare questo mestiere da quando sono nato. Forse è questa la mia
ambizione più importante e che ho visto realizzarsi, capito? Questa ambizione
l’ho portata a termine e ho piacere sentire qualcuno che si diverte e che le
fa piacere sentirmi.
Maurizio, si avvicina Natale. Cosa vuoi
che porti Gesù bambino?
Gesù Bambino è cresciuto pure lui (risata).
Vorrei un mondo senza guerra, non vorrei più donne accoltellate e bambini
ammazzati. I bambini uccisi mi danno un senso di angoscia, di impotenza. Il
mondo, anche tecnologicamente parlando, non si è fatto mancare nulla e vorrei
che non si facesse mancare il buon senso e la serenità.